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giovedì 29 dicembre 2011

Pensando alla parola “equità”

(di Silvana Biasutti)
Siete spaventati? Io cerco di non esserlo: usando il vecchio training autogeno, ma soprattutto ascoltando le buone amicizie. Un’amica, afflitta da una serie di problemi grandi come una casa mi ha detto che “dobbiamo stare sereni, mettercela tutta, guardare in avanti, pensare alle responsabilità che abbiamo verso i più deboli, essere costruttivi ed energici, essere ottimisti perché il mondo va avanti …”, e potrei occupare tutto lo spazio rimanente con il mantra che questa donna intelligente e coraggiosa (che ha
occupato un posto di grande responsabilità nell’amministrazione pubblica) mi ha sciorinato al telefono, l’altra sera. Tuttavia sento che da qualche parte c’è un disegno per annichilirci dalla paura, con continue promesse (minacce) di sacrifici ‘spaventosi’, anche senza virgolette. Che si tratti di una strategia non v’è dubbio; che si tratti di un disegno (di cui ci accorgeremo tardi) per ammutolirci di fronte alla forza del destino, mi pare certo, e alle domande che mi pongo ho anche cercato di darmi qualche risposta. Una delle più divertenti è quella in cui mi immagino che gli evasori fiscali, la créme de la créme – quelli veri, grossi, certificati, che eludono il fisco alla grande (non i burini qualsiasi che parcheggiano il suv sul marciapiede!) – inquieti della demonizzazione di cui l’evasione (e l’elusione) è oggetto, abbiano subdolamente arruolato il meglio del sapere per metterci a tacere – lavoratori, pensionati, pesci piccoli del mondo dell’impresa – e ripartire da una nuova segmentazione sociale, da una nuova organizzazione mondiale.
D’altra parte, però, non può non far piacere la fine dell’avanspettacolo, della sfilata di nani e ballerine, delle parolacce ringhiate nei più vellutati luoghi delle istituzioni, e non si può che condividere l’invito a rimboccarsi le maniche e lavorare per produrre prodotto interno lordo, far girare quell’Italia – ce n’è tanta! – che ha i numeri per fare bene, per creare un po’ di benessere. Persino chi non ha condiviso lo “sviluppo sostenibile” che ci è stato ammannito dalla retorica dei politici, né vede nella “decrescita felice” il disegno di un futuro possibile (se non per le tirature dei libri di Serge Latouche), non può che essere d’accordo sulla necessità di sforzi fuori ordinanza, nel valorizzare il nostro paese, che è – e resta – una miniera di bellezze, di piacevolezze, di bontà, eccetera (nonostante alluvioni e frane, e mafia e furbizia e disonestà!).
Per questo immagino che si dovrà fare meglio e di più, per far capire che insieme alle bellezze, all’arte, ai paesaggi e ai frutti di un clima privilegiato, c’è tanta gente in gamba, vivace, lavoratrice, ospitale, capace di farti venir voglia di tornare nei luoghi, per ritrovare le luci, gli sguardi, lo stile del lavoro fatto con un occhio attento e un pizzico di genio: ce la faremo e sarà grazie proprio al lavoro fatto con occhio attento, all’idea di stare in un paese che è un mosaico di sapere e di intraprendenza buona.

Quello che avete appena letto, lo scrivevo tre settimane fa, o giù di lì; ora quella fase è terminata e siamo avviati in questa nuova epoca (perché di questo si tratta e a questo proposito sono rimasti pochi ad avere dubbi), epoca e non fase: perché chi sa contare ha cominciato a fare i conti e il risultato non torna e si deve cambiare. Ma è proprio l’indirizzo del cambiamento, la piega che esso sta prendendo, a confermarmi quello che poteva – già a me stessa – sembrare una paranoia da lettrice di troppi giornali, da spigolatrice di contro (?) informazione, ammesso che essa esista. Invece tutto, ma proprio tutto fa pensare a un disegno freddamente pianificato per togliere risorse – non solo soldi, ma soprattutto speranza – a chi ha meno e su quel poco conta(va) per proseguire, anche un po’ sventatamente, un’esistenza modesta ma in qualche modo contemporanea.
Quello che si acquisisce, dalle notizie e dai comportamenti – questi ultimi, più civili e pacati, ma attenzione!, sempre più distanti dalla gente – è l’impellente necessità di chi è ricco – ricco davvero, non come quei volgarotti dei suv mal parcheggiati, di cui sopra – di mantenere e accrescere la propria ricchezza e (qui il mio sospetto di vecchia paranoica) togliere alla “gente” (la classe media è in estinzione) anche il bello.
Il bello ha anche un valore economico ben definito, pure se nel nostro paese – a causa dell’ignoranza o dell’inconsapevole sventatezza di governanti e amministratori – questo concetto non ha avuto degna cittadinanza. Mentre dobbiamo lottare (con dubbi risultati, temo) per la promessa equità, stiamo più attenti alla bellezza, per non ritrovarci a capirne il valore solo quando saremo diventati tutti camerieri di un club, i cui soci non parcheggerebbero mai un suv sul marciapiede.

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