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martedì 12 luglio 2011

Benedetto Buglioni
e il Cristo Crocifisso di Radicofani

(di Antonio Sigillo)
Radicofani, luogo “leggenda” dove visse quel Ghino di Tacco ghibellino, ricordato per la sua ferocia da Dante nella Divina Commedia, (Purgatorio, canto VI), ma anche da Boccaccio nel suo Decamerone (decima giornata, seconda novella). In tempi moderni, a maggio, il luogo ospita una delle tappe della “Mille Miglia”, la storica corsa di auto d’epoca.
Ma la città ha anche altro da mostrare a turisti non frettolosi che hanno voglia di passare più tempo in quest’antico e salutare borgo. Iniziando dalla parte alta è possibile visitare l’imponente fortezza e i resti delle fortificazioni medievali. Dall’alto della maestosa Penna del Cassero, ci si affaccia sul magnifico panorama della Valdorcia: è da qui che sono ancora più evidenti le biancane e i calanchi elementi propri del paesaggio delle crete senesi.

Discendendo dalla strada che porta in fortezza, da notare l’antico Palazzo Pretorio che mostra nella facciata gli stemmi dei vari Podestà senesi che hanno amministrato al tempo della Repubblica. Si continua per il centrale corso medievale e, arrivati poco prima della piazzetta centrale, a sinistra da notare la settecentesca chiesa di Sant’Agata. Nei paramenti murari si nota il riattamento del medievale edificio privato alle esigenze dell’architettura chiesastica (archi a sesto acuto tamponati). All’interno, sull’altare maggiore una composizione di rara bellezza: una pala d’altare raffigurante la Madonna in trono col Bambino e i Santi Francesco, Elisabetta d’Ungheria, Cristina di Bolsena e Lorenzo, riconducibile all’abile mano di Andrea della Robbia.
Le opere dei Della Robbia presenti in questa chiesa come nell’attigua Arcipretura di San Pietro saranno trattate in un prossimo articolo. Intanto, arrivati nella piazzetta, ci arrestiamo per ammirare la rude facciata medievale della chiesa di San Pietro. E’ proprio in questa chiesa che ci soffermeremo per analizzare la bella pala d’altare, raffigurante Cristo Crocifisso, in terracotta invetriata e policroma, posta sull’altare maggiore.
Opera, questa, che in origine è stata attribuita a tutta la famiglia dei Della Robbia: Luca (1399/1400–1482), Andrea il nipote (1435-1525), Giovanni figlio di Andrea (1469-1529/30) ed infine e attribuita a Benedetto Buglioni (1459/60-1521).
Non mi soffermerò su alcune polemiche nate qualche tempo fa che rifiutavano l’attribuzione fatta al Buglioni a svantaggio di quella più antica riferita ai Della Robbia.
Per far comprendere come gli studi iconografici e stilistici, in assenza di documentazione certa, possono mettere alla “prova” anche studiosi più qualificati, proverò a ripercorrere a ritroso la storia attributiva per chiarire meglio le dinamiche dell’attribuzione e della datazione dell’opera.
La nostra indagine non può prescindere da un dato: chi era Benedetto Buglioni? Forse conoscendo alcuni aspetti della sua vita si potrà apprezzare con maggiore serenità le sue opere.
Benedetto Buglioni, nasce a Firenze il 21 marzo del 1461 da Giovanni di Bernardo, scalpellino, e da monna Caterina. Abitava in una casa posta in via Faenza, vicina a via Guelfa, attigua alla strada dei Della Robbia. Il padre artigiano-artista, lo mise a ‘bottega’ dal Verrocchio, dal quale apprese l’arte scultorea. Nel 1480 a soli 19 anni, grazie al buon tirocinio e alla particolare predilezione per la modellazione plastica, ottenne di poter collaborare in ‘bottega’ con Andrea Della Robbia.
Luca (1399/1400–1482) lasciò ad Andrea la bottega fin dalla prima metà del 1470, e questi dovette ricorrere all’aiuto di Benedetto non potendo contare sulla collaborazione dei figli: i primi due (Marco e Giovanni) in quel tempo avevano 11 e 10 anni.
Secondo il Vasari Benedetto apprese l’arte robbiana "da una donna, che uscì di casa d'Andrea della Robbia, ebbe il segreto degl'invetriati di terra". Ma come abbiamo visto, fu lui stesso ad apprendere da Andrea l’arte della terracotta invetriata. Quando se ne allontanò, data la concorrenza con i Della Robbia, dovette lavorare molto per committenti fuori di Firenze: infatti, è a lui riconducibile la realizzazione dello stemma di papa Innocenzo VIII, databile fra il 1484 e il 1492, oggi, nelle stanze Borgia in Vaticano. Probabilmente dello stesso periodo è la Discesa di Cristo al Limbo in S. Maria dei Servi (Annunziata) a Firenze. Questa è forse la sua prima opera come maestro autonomo. Ne resta memoria solo in un documento del maggio 1484 nei libri del convento dei Servi, dove la committenza stabilisce, oltre il soggetto, anche la materia e la maniera: “nella forma come gli lavora q(u)elle delarobia”. E’ facilmente comprensibile come Benedetto, per le sue realizzazioni, abbia continuato ad attingere al repertorio robbiano. Ma il successo e le committenze arriveranno più tardi a cominciare dal 1487. La committenza riavvicina Benedetto alla Toscana e a Giovanni Della Robbia, con il quale ha legami affettivi per aver condiviso in gioventù i ritmi lavorativi della bottega; collaborativi per alcune compartecipazioni come quella dell’Ospedale del ceppo di Pistoia ed artistici. Con Giovanni, infatti, condivide il gusto policromo e manieristico e il riferirsi, in alcune opere, a quei maestri esterni dall’ambito robbiano con i quali hanno collaborato (Verrocchio, Sangallo il Vecchio, Rossellino, Giuliano e Benedetto da Maiano).
La richiesta di opere si farà sempre più pressante e una committenza arriverà a Benedetto anche da un lembo estremo della Toscana: Radicofani. E’ da qui che inizierà un crescendo artistico che lo porterà a realizzare opere di grande valore: la lunetta di Santa Maria Egiziaca nel Duomo di Firenze; il San Giovannino nel Deserto a Cavriglia; la Natività oggi all’Hermitage, fino alla somigliante e coeva Crocifissione, e La Messa di Bolsena, in Santa Cristina a Bolsena.
Alcune importanti commissioni faranno conoscere l’arte di Benedetto: la decorazione dell'oratorio di Santa Maria delle Grazie sopra Stia voluto da Leonardo Buonafede; l'arredo della cappella del Bianco nella chiesa della Badia fiorentina; l'Immacolata concezione tra sant'Anselmo e sant'Agostino nel Museo della Collegiata di Empoli.
Il 25 gennaio del 1504 il Gonfaloniere di Giustizia Pier Soderini, costituì una commissione che doveva scegliere il luogo dove collocare il David di Michelangelo. Tra gli artisti prescelti Benedetto Buglioni figurava accanto ad Andrea della Robbia ed altri artisti famosi attivi in città come Botticelli, Lippi, Leonardo da Vinci, Perugino.
Nel 1511 per la chiesa dello Spedale del Ceppo a Pistoia esegue la lunetta con l'Incoronazione della Vergine, riproposta in una forma ben più elaborata e complessa per la chiesa fiorentina di Ognissanti. In questa Incoronazione della Vergine tra Santi e Angeli, Benedetto propone i Santi Benedetto, Ansaldo, Giovanni Battista, Pietro, Gregorio, Agostino e Lucia. La sua ultima opera documentata è la Madonna col Bambino e Santi realizzata su incarico del Buonafede per San Michele a Badia Tedalda (1517). Benedetto Buglioni muore nel 1521.
La grande pala presente sull’altare maggiore della chiesa di San Pietro, raffigura al centro il Cristo crocifisso; la figura di Cristo, slanciata verso l'alto tende a farlo protendere verso il cielo, portandolo, in modo simbolico, al distacco dalla dimensione terrena. La testa è leggermente reclinata e il volto, con la morte, è disteso e non mostra più gli spasimi dell’agonia.
La figura è attorniata da quattro trepidanti angeli in volo; in mano il calice proteso verso le ferite di Cristo per raccoglierne il sangue. In basso, Santa Maria Maddalena con il volto giovanile. Essa è raffigurata inginocchiata, i capelli sono sciolti, stando alla più conosciuta tradizione iconografica, ed è protesa in avanti in un disperato abbraccio alla base della croce. Nel masso nel quale è stata fissata la croce, si scorge il teschio d’Adamo a mandibole aperte. Esso rappresenta la sintesi formale di un concetto teologico che simbolicamente sta a evidenziare che il sangue di Cristo, bagnando il cranio del primo uomo, determina l’opportunità che tutti i suoi discendenti possano essere redenti. A stemperare la drammatica scena e a movimentare il desolato paesaggio, si riconoscono due filari d’alberi: due palme in primo piano e cipressi e alberi da frutto, posti in più piani prospettici per dare più profondità alla scena. In alto, ai lati del cartiglio sono ancora parzialmente visibili il Sole e la Luna che si guardano. Sappiamo che nel giorno della Crocefissione vi era Luna Piena, “e la Luna si fece color del Sangue”. Gesù sospeso tra il Sole e la Luna, simboleggia l'umanità nell’attimo in cui si fonde con la divinità, il Sole, rappresentazione del divino, e la Luna, metafora della vulnerabilità umana, sono uniti nella figura del Cristo.
La cornice, invetriata di bianco, racchiude dei protomi di cherubini intervallati da nuvolette. Il gradino, ingentilito da corpose ghirlande di frutta, mostra i simboli degli Evangelisti: il bue di San Luca, l’angelo di San Matteo, l’aquila di San Giovanni e il leone di San Marco. Ognuno di questi personaggi ha un libro aperto, nel quale si può leggere il nome di ogni Santo e la frase “Sequentia Sancti Evangelii”.

Il Cristo crocifisso di Radicofani è una elaborazione ispirata alla grande semplicità. I modelli sono sicuramente derivanti dal Verrocchio e Luca e Andrea Della Robbia anche se la postura classica del Cristo ci rimanda ad altri autori contemporanei come Antonio Sangallo il Vecchio per la perfezione atletica del corpo (vedi la crocifissione lignea nella Chiesa di Sant’Agostino a Montepulciano).
Analogie stilistiche le riscontriamo in un’altra grande pala d’altare commissionata a Benedetto Buglioni nel 1496 per la cripta della Basilica di Santa Cristina a Bolsena.
L’opera composita presenta nella parte alta la Crocifissione e nella parte bassa La Messa di Bolsena.
Diversamente dalla Crocifissione realizzata per Radicofani, qui il modello del Cristo è diverso nella posa: il corpo leggermente spostato a sinistra è incurvato per accentuare le dolorose contrazioni dell’agonia. Anche qui notiamo un chiaro riferimento ai modellati di Benedetto da Maiano. Anche la figura giovanile di Maria Maddalena ricalca il modello già usato per Radicofani eccetto per i capelli, sciolti e più lunghi, e la posizione del corpo, meno inarcato. In questo caso sono state aggiunte le figure di Maria e di San Giovanni. Il fondo piatto con la presenza di una palma per lato non riesce a dare la profondità che ha la pala di Radicofani. Sulla policromia macchiata del paesaggio ben amalgamato dal fondo maiolicato, sono riprodotte delle palme, che mostrano un’accurata composizione decorativa. Il bianco delle figure e delle cornici, e la decorazione della centina è stata modificata con l’inserimento di mazzi di frutta e pigne policromi.
Lo studio attributivo dei due Crocifissi ha portato a varie conclusioni. Nell’800 e nel ‘900 le opere sono state aggiudicate, in vari momenti, ai membri dalla famiglia dei Della Robbia e bottega, e a Benedetto Buglioni. Inoltre le due opere vanno retrodatate anche alla luce degli ultimi studi effettuati. Il Marquand (1922) datava le Crocifissioni tra il primo e il secondo decennio del cinquecento, ma uno studio più aggiornato di Giancarlo Gentilini, rileva che la datazione può essere anticipata sia grazie alla lunetta di Santa Maria Nuova a Firenze, che alle recenti precisazioni sui lavori di Bolsena, già creduti posteriori al 1503.
Un’altra opera simile alle due già citate, sempre dello stesso autore, è la grande pala d’Altare raffigurante la Trinità, presente nella chiesa della SS. Trinità della Selva a Santa Fiora (Grosseto).
Realizzata nel primo ventennio del ‘500, mostra l’Eterno Padre, in veste apostolica ma con tiara pontificale, mentre sorregge il Figlio in Croce. Il modellato più intenso e delicato rende simile gli effetti della Pala della SS. Trinità a quella di Radicofani. Di gusto prettamente manieristico è la scelta di non invetriare il volto e le mani dell’Eterno Padre e dell’intera figura del Cristo crocifisso, con il classico colore bianco, ma rifinirlo con la coloritura a tempera che rende l’opera più esplicita e naturalistica e l’aspetto più formale e religioso.
Concludendo, vorrei sottolineare che la grande pala di Radicofani è un‘opera di indiscutibile valore artistico che esalta le doti di un artista, forse ancora oggi poco conosciuto, ma di indiscutibile valore.

Bibliografia
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  • Cantagalli
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