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giovedì 14 luglio 2011

Bagno Vignoni,
san Giovanni Battista e un ponte

(di Raffaele Giannetti)
Il solstizio d’estate è culturalmente segnato dal giorno di San Giovanni Battista, il 24 di giugno. Il momento – così è stato interpretato – è carico di valenze profetiche e divinatorie: carico, diremmo, di futuro.
È in questo giorno di passaggio, in quest’alba dell’anno che si devono raccogliere le piante e le erbe se vogliamo che esse sprigionino tutta la loro magia e ci diano prova delle loro virtù. Il fatto è che le proprietà terapeutiche delle piante sono associate, come è normale nel mondo antico, alla loro capacità
divinatoria. Così il giorno del Battista, che descrive evidentemente una purificazione, è stato legato dalla tradizione popolare alle profezie e alla conoscenza del futuro.
Naturalmente, la divinazione di questo giorno ha assunto troppe forme perché qui se ne possa dare anche solo un cenno; si dice, tuttavia, che questo è il giorno dedicato specialmente al futuro matrimoniale delle ragazze, che apprendono – o apprendevano – il loro destino dai disegni di foglie e fiori gettati nelle acque del fiume.
Anticamente dedicato a Fors Fortuna, il giorno era segnato, a Roma, dall’attraversamento del Tevere, che rappresentava l’esorcismo di una sorte aleatoria e capricciosa. La festività sanciva la fine del caos e dell’incertezza del tempo (come dire la notte del primo semestre) dando origine al secondo semestre, sicuro, romano, virile e segnato, nel nome dei mesi dai numeri [ma si legga al riguarda il numero zero della rivista].
È per questo che il rito si svolgeva in un aldilà trasteverino che accoglieva – come in un ultimo carnevale – donne, emarginati, stranieri, schiavi e fanciulli… Si andava, allora, in Trastevere, al di là del fiume; si raggiungeva un altrove (anche sociale). Nei Fasti di Ovidio leggiamo la celebrazione della nostra instabile e dubbia dea, in un giorno dedicato a schiavi e ubriachi, sopra battelli inghirlandati:

Il tempo scivola via, e noi invecchiamo per silenziosi anni:
i giorni fuggono senza che alcun freno li attardi.
Quanto sono giunte veloci le celebrazioni della dea Fortuna.
Dopo altri sette giorni, giugno sarà trascorso.
Andate, o Quiriti, e lieti celebrate la divinità della Sorte,
che ha sulla riva del Tevere la sua attribuzione regale.
Parte accorrete a piedi, parte su barche veloci,
e non provate vergogna di tornare a casa ubriachi.
E voi inghirlandati battelli, portate banchetti di giovani,
e molto vino si beva attraversando le acque.
La plebe la venera, poiché si dice che fosse plebeo
chi fondò il suo tempio e da umile condizione portò poi lo scettro.
La festa si addice anche agli schiavi, ché Tullio, nato da una schiava,
fondò nei pressi un tempio all’instabile dea.
(Ov., Fasti, VI 771-784; trad. L. Canali)

Non ci sfugga che anche il tempio romano di Esculapio, dio della medicina, si trova proprio in questo luogo di passaggio, in quell’«isola tiberina» che ha segnato indelebilmente la città e il suo fiume.
Il giorno solstiziale è essenzialmente la ritualizzazione di una festa del tempo, laddove il fiume e il ponte devono essere intesi come metafore della vita e della storia. San Giovanni, insomma, indica propriamente un rito di passaggio. La sua funzione toponomastica è chiara: Giovanni permette l’attraversamento del fiume, gettando un ponte salvifico sulle acque; e non importa che queste siano quelle vere del fiume o quelle metaforiche della vita. Diremmo allora che il solstizio estivo è vicenda temporale che congiunge, nel nostro calendario, le opposte rive dei due semestri; in altre parole è il ponte dell’anno.
San Giovanni è, come il suo nome e la diffusa iconografia dimostrano, simbolo del fiume e, al tempo stesso, dello sperato e atteso passaggio. Emblematico un Paesaggio con san Giovanni Battista di Annibale Carracci (Pinacoteca Nazionale di Bologna; fine del secolo XVII): il dipinto rappresenta il fiume giovanneo appena attraversato dal santo, che innalza lodi al cielo. Ma fondamentale risulta la presenza del tronco abbattuto che è servito da ponte!
La toponomastica ci conforta. I luoghi che portano il nome del nostro santo sono quelli che consentono l’attraversamento. Ma anche il patrono non è da meno: san Giovanni, anche in quest’altra veste rimane fedele alla sua natura pontificale che consiste nell’unire con un ponte le opposte rive di un fiume o quelle del tempo (che non si trova poi così male in vesti metaforiche e fluviali): ecco, dunque il significato di pontefice, etimologicamente ‘costruttore del ponte’; ecco il senso (temporale) dell’espressione fare il ponte.
Non può sfuggirci una situazione davvero particolare e, nello stesso tempo, manifesta: un ponte sull’Orcia, Bagno Vignoni e il suo patrono (san Giovanni, evidentemente). Ciò significa che il fiume, in questo luogo, può essere varcato, come testimoniano vistose tracce archeologiche. Ma san Giovanni, che esercita qui il suo incontrastato dominio, è connesso strettamente anche alla vocazione termale-terapeutica di questi luoghi.
Se entriamo nella chiesa dedicata al santo, la quale si affaccia sulla vasca di Bagno Vignoni, scopriamo una tela di scuola senese del XVIII secolo: «Santa Caterina con Bagno Vignoni sullo sfondo» (che non è l’unica testimonianza iconografica). La vasca vi è rappresentata come appariva prima della costruzione di un edificio proprio a ridosso del portico di santa Caterina. Quest’ultimo non chiudeva lo specchio d’acqua, come fa attualmente, ma lo attraversava, come un ponte diremmo, dividendolo in due parti*. Si affaccia, dunque, alla nostra immaginazione la festosa celebrazione del portico nel giorno solstiziale (celebrazione, beninteso, quale doveva aver luogo nei tempi andati).
Leggiamo ora un passo relativo agli ambienti termali nell’antichità, dal quale risultano evidentissime le analogie delle vestigia germaniche con le strutture vignonesi:
Badenweiler, ai piedi del Blauen, nella Foresta Nera, è una località ove affiora una sorgente calda (26,4 °C) di acqua oligominerale ancor oggi impiegata nella terapia delle affezioni reumatiche e di quelle articolari e vascolari. Nel 1784, in un’area poco distante dalla sorgente, coperta di rovine e per secoli sfruttata come cava di pietra, si riconobbe un edificio balneare romano che, malgrado le distruzioni subite, può essere considerato un tipico esempio di stabilimento termale. Nella pianta del complesso colpisce l’impianto a simmetria speculare, che doveva corrispondere a una suddivisione per cui metà degli ambienti erano destinati agli uomini e metà alle donne.
Le terme, che erano state costruite nell’ottavo decennio del primo secolo d.C., quindi in età flavia, conobbero numerose trasformazioni e ampliamenti, eseguiti nel corso dei due secoli successivi. La parte centrale era occupata da due vaste sale adiacenti, coperte da una volta a botte; in ciascuna di esse si trovava una piscina rettangolare della profondità di un metro circa, rivestita con intonaco idraulico e lastre di pietra; intorno alla piscina correvano scalini e gradoni che consentivano di prolungare con agio le immersioni nell’acqua. Lungo le pareti dei lati minori si aprivano delle nicchie che, dietro a parapetti, davano alloggio a dei piccoli bacini per uso individuale; a lato di ciascun ambiente per la piscina si trovavano inoltre degli spaziosi spogliatoi (apodytéria), anch’essi provvisti di nicchie con vasche per l’abluzione preliminare dei piedi. Sul lato a settentrione delle terme era situata una sala rettangolare che si apriva su un portico dove venne trovato un altare dedicato alla divinità del luogo, Diana Abnoba, protettrice delle terme**.
Rammentiamo, dunque, l’esistenza di un’iscrizione latina su travertino, la quale, attribuita genericamente alla prima età imperiale, conforta il parallelo con lo stabilimento germanico di Badenweiler***.
Ma la congettura secondo cui le due porzioni di vasca sarebbero destinate una agli uomini e l’altra alle donne non confligge con l’idea di una ritualità terapeutica facile da immaginare e chiara nella sua significazione: l’attraversamento salvifico grazie a un ponte, nel giorno della festa solstiziale, quando, all’alba, si raccolgono le piante curative. Inoltre, gli influssi giovannei – ricordiamo che il 24 di giugno è anche il giorno in cui le donne divinano la loro gravidanza – risultano chiari dalle numerose testimonianze che raccomandano le acque di Bagno Vignoni (che giovano ai «flussi muliebri e alle altre infermità dell’utero») alle donne «infeconde» o «ammalate agli organi genitali»****.

NOTE
* Si veda Gino Naldi, Le terme di Bagno Vignoni, rist. anast. dell’ed. del 1969 (Montalcino, Tipografia La Stella), San Quirico d’Orcia, Editrice DonChisciotte, 2011, dove, a p. 17, si legge una conforme descrizione risalente al 1334; anche in F. Pellegrini et al., Il Bagno di Vignoni magico, salutare, lustrale, Cortona, Editrice grafica L’Etruria, s.d., p. 14 (a p. 15 un’ulteriore testimonianza relativa al sec. XVII).
** Antje Krug, Medicina nel mondo classico, Firenze, Giunti, 1990, p. 183.
*** NYMPHIS SACRUM…; assai importante il fatto che si tratta di un ex voto. Si vedano Gino Naldi, Le terme di Bagno Vignoni, cit., pp.6-8; Marco Pistoi, Guida archeologica della Val d’Orcia, Editrice DonChisciotte, 1997, pp. 67, 70.
**** F. Pellegrini et al., Il Bagno di Vignoni, cit., pp. 16-17.

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