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giovedì 20 dicembre 2012

L’ Olivo: grande pianta della Val d’Orcia

di Luigi Giannelli         
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°8)
Se fino ad ora abbiamo esaminato esclusivamente piante spontanee della macchia mediterranea, in questo articolo scriverò dell'Olivo, una Pianta che in quest'area può essere considerata prevalentemente domestica, fatta eccezione di una varietà selvatica originaria dei boschi della Val d’Orcia e di alcune sfuggite nel corso dei secoli alle colture limitrofe alla macchia.

Come si vede la questione appare complicata; iniziamo quindi per gradi, evidenziando l’aspetto dell’Olivo oggetto di questa analisi; quello medicinale. È vero che l'utilizzo alimentare dell’olio di Oliva è pratica salutare, ma assolutamente insufficiente dal nostro punto di vista.

Dioscoride, che rammentiamo essere medico militare del I secolo d.C. sotto le armate di Vespasiano durante la Prima Guerra Giudaica (gli Ebrei si sono spesso ribellati contro il dominio Romano), scrive la sua “Materia Medica” intorno al 60 d.C. (Principato di Nerone), allo scopo di presentare una raccolta, il più esaustiva possibile sulle sostanze impiegate in medicina.
In effetti, nel I Libro, al Cap. 117 (vers. Mattioli) il nostro autore ci parla dell’Olivo selvatico (che come abbiamo visto si trova anche in Vald’Orcia), riconoscibile per la presenza di lunghe spine e olive nerissime  e piccolissime.

<< Le foglie dell’Olivo selvatico, il quale chiamano alcuni Olivastro [nella parlato toscana passata l’ “Olivastra” era invece un grande Olivo domestico, capace di grandi produzioni] e altri  Olivo doi Etiopia [rammentare sempre l’aspetto “globalizzato” dell’Impero Romano, pòer tanti versi simile ad oggi], hanno virtù astringente. Triturate e ridotte ad impiastro e applicate, curano il Fuoco Sacro [ piaghe da Herpes zoster], i carboni [varietà cutanea di carbonchio-antrace], l’epinittide [macchie rosse rilevate e pruriginose], le ulcerazioni serpeggianti e corrosive, e le ulcerazioni tra le dita.
Se ne fa un linimento con Miele, che fa cadere l’escara dai cauteri [il cauterio lasciava sempre una specie di crosta], ripuliscono le ulcerazioni purulente; risolvono molti tipi di ascessi e le infiammazioni, applicate sempre con Miele.
Permette il riattaccarsi della pelle della testa nelle lesioni [in genere traumatiche] che la fanno staccare dal cranio.
Masticate curano le ulcerazioni della bocca, soprattutto ai fanciulli [a quel tempo disposti a eseguire – forse –gli ordini di medici e genitori!].
Il succo delle foglie o il loro decotto hanno azioni simili.
Il succo, sempre delle foglie, applicato blocca il flusso mestruale.
Ricaccia indietro i rigonfiamenti simili all’uva che vengono vicino agli occhi [patologie ascessiformi], e similmente le pustole e le escrezioni mucose – catarrhi – e le ulcerazioni, sempre degli occhi. Quindi si mettono nei colliri che si preparano per combattere le corrosioni palpebrali.
Questo succo si prepara così: si pestano le foglie e poi si spruzzano di Vino o di acqua piovana e quindi si spremono.
Questo succo lo si essicca al Sole [in recipienti a fondo rotondo e coperti di tela di lino o garza], e si riduce in “pastelli” (1), ma è migliore e si conserva meglio quello che si prepara con il Vino di quello fatto con l’acqua.
E’ efficace alle ulcerazioni auricolari ed in quelle purulente.
Si applicano come empiastro le foglie con farina d’Orzo, sull’area gastrica, per bloccare il vomito.
Si usa la cenere delle foglie e dei fiori di Olivo, riducendola in cenere, dopo averle messe in vaso di argilla crudo e chiuso con coperchio in modo ermetico. Si pone il vaso in forno da vasaio e si riscalda finch’è il vaso è cotto. Allora, questa cenere la si usa come sostituta dello Spodio [si immagina, per le modalità di preparazione, che si tratti dell’ossido di Zinco, detto anche “Pompholige”]. Si “spegne” questa cenere con Vino e si torna ad impastare semptre con Vino e si ricuoce un’altra volta.
Si lava questa cenere come si lava la biacca [carbonato di piombo] (2), e se ne fanno pastelli [in questo caso vuol dire ch con liquido idoneo, se ne formano masse dure, da triturare secondo necessità], poiché questa cenere non è men buona per nelle infermità degli occhi dello Spodio, si crede quindi che abbiano ambedue le sostanze, le stesse proprietà.
Possiedono le stesse virtù le foglie, bruciate nello stesso modo, dell’Olivo domestico, ma sono meno efficaci e quindi non essendo così energiche, sono più adatte alle medicine degli occhi.
La schiuma che essuda dal legno verde dell’Olivo selvatico quando si brucia, sana la rogna, la forfora e i brufoli arrossati.
I noccioli delle Olive, sanano, fattone linimento, la forfora, le ulcerazioni serpeggianti e corrosive.
Il “midollo” del nocciolo fa cadere le unghie “corrotte” [magari da un attacco di parassiti o microbico], applicatovi sopra con grasso e con farina.>>.

Passiamo al Cap. 118:

<< Delle Olive salate e condite [al tempo di Dioscoride usava salare le Olive per conservarle, più o meno come oggi].
Le Olive condite/Salate, pestate e applicate, non permettono che si formino le vesciche da ustioni da fuoco. Ripuliscono le ulcere purulente. Lavandosi la bocca con la salamoia, stringe le gengive e ferme i denti smossi. Le Olive fresche, che nel colore rosseggiano, prima che si maturino, sono più utili allo stomaco e astringono il ventre; ma le nere e ben mature, si corrompono più facilmente e nuocciono allo stomaco, offendono gli occhi e fanno dolere la testa. Secche e fattone linimento, fermano le ulcerazioni che corrodono i tessuti e rompono i carboni/antrace.>>.

Ora siamo al Cap. 119:

<< Dell’Olio delle Olive selvatiche.
L’Olio che si fa delle Olive selvatiche, tenuto in bocca e lavandosela con esso, giova alle gengive purulente e piene di Umidità; ferma i denti smossi. E adoperato caldo vale ai catarrhi/muchi che discendono dalle gengive; ma bisogna applicarvelo con un poco di lana avvolta sulla cima dello stile, fintanto che divengono bianche.>>.

Dioscoride parla poi dell’essudato gommoso emesso dall’Olivo di Etiopia, che purtroppo se ne è, almeno da noi, perduto l’uso.

Al Cap. 121 si parla della “Morchia dell’Olio”, ovvero della parte acquosa che rimane alla fine della spremitura: 

<< La Morca è la feccia delle Olive spremute. La Quale, cotta in un vaso di Rame di Cipro (3), finchè non si inspessisca come il Miele, è astringente e nelle virtù sue simile al Licio.
[Il Licio è pianta della quale si è perduta la cgnizione]. Anche il succo condensato del Licio – al tempo sofisticato proprio con la Morca condensata – era pianta astringente, ed agiva soprattutto sulle malattie degli occhi e sulla scabbia; inoltre era anche molto attivo sulla cura di ferite ed ulcerazioni.
Ambedue (Licio e Morca condensata) si mettono nei clisteri e si bevono nei vomiti incoercibili; si somministrano con acqua nell’espettorato sanguigno e nella tosse.
Curano le ulcerazioni delle dita, quando sono putride e  purulente. E molti altri effetti, legati soprattutto al potere astringente e cicatrizzante.
La Morca, preparata come abbiamo detto, è molto utile nel mal di denti, applicata con Aceto o Vino Melato [Vino bollito con Miele].
Si mette nei medicamenti degli occhi ed i quelli che si fanno per eliminare i porri della pelle.
Invecchiando, diventa più potente [questo vale per molti medicamenti, dato che molte reazioni avvenendo lentamente, moltye sostanze attive si formano nel tempo e non subito].
Si applica nelle ulcere anali, in quelle del pene e della vagina femminile.
Cotta con Olio Omphacino (4) e riportata alla consistenza del Miele, circondandone i denti guasti, li fa cadere. 
Applicata con decotto di Lupini e Carlina acaulis, sana la rogna dei quadrupedi.
Quella fresca, appena ottenuta e non cotta, applicata sulla parte dolorante, giova alla gotta ed a tutte le malattie articolari.
Imbevuta su una pelle lanosa [come quella di una pecora] e con questa applicata su un edema, anche addominale, risolve il gonfiore.>>.

Nel Commentario di Pier Andrea Mattioli, ovvero “Discorsi sulla Materia Medicinale di Pedanio Dioscoride Anarzabeo”, si trova che gli Olivi selvatici sono numerosi nella zona di Siena ed in genere della Toscana (non dimentichiamo che Mattioli è senese di nascita, anche se  vive  aTrento, protetto dal locale Arcivescovo-Feudatario Imperiale), am anche in Dalmazia e nelle isole del mare Adriatico.
Mattioli rammenta un fatto curioso: che vi è una “inimicizia tra l’Olivo e la Quercia”,

<< in modo che piantandosi Olivi accanto alle Querce, essi in breve si perdono.>>.
<< Diventano sterili gli Olivi se dei loro germogli si pascono le capre >>

Rammenta inoltre che Catone  (nel suo “De Agricoltura”) dice che si mescola la Morca dell’Olio alla calce che si usa per intonacare i magazzini e le botteghe dove si tengono abiti e tessuti e drappi di seta. Ciò impedisce che si formino ragnetti, tignole e altri vermicelli e altri animali nocivi (per i tessuti, immaginiamo!). Inoltre, impedisce che si formi l’Umidità che trasuda dalle mura.
Lo stesso si fa per intonacare i locali dei granai e dove si ripongono le biade.
Infine, cita Galeno, “Le virtù dei semplici medicamenti”, al VI Libro, il quale vi afferma:

<<  I rami degli Olivi hanno dell’astringente quanto, del pari, del Freddo. Il loro frutto, quando è ben maturo, è mediamente Caldo.; ma quando è acerbo è veramente Freddo e più astringente.>>.
     
Questo è quanto sapevano gli Antichi; l’Olivo era soprattutto pianta per uso esterno, contro le forme ulcerose e purulente; grande rimedio, quindi.
Ma non basta; con lo sviluppo degli studi farmacologici, soprattutto sugli usi popolari degli ultimi due secoli, si è scoperto che le foglie di Olivo possiedono importanti proprietà a livello metabolico (anti-iperglicemico e tende a far regredire il diabete di tipo B; anticolesterolemico e regolatore del metabolismo lipidico; antiiperuremico.
E’ poi febbrifugo; importantissimi gli effetti sull’apparato cardio-vascolare, soprattutto sui soggetti naturalmente ipertesi e pletorici – fisiognomicamente quelli corpulenti, rossi in faccia, di carattere ilare e gioioso – insomma i cosiddetti “Sanguigni”! In questi casi è un rapido ipotensivo-vasodilatatore e agisce anche – preso per lunghi periodi – nell’angina pectoris.
Per concludere, entra a buon diritto nelle preparazioni per la disgregazione dei calcoli renali.

Alla fine, abbiamo vicino a noi un compagno, che non solo ci dà un olio alimentare sopraffino, anche esso regolatore di alcuni tipi di displipedemie e soprattutto eccellente in gastronomia, ma anche un grande rimedio per innumerevoli malanni che affliggono l’umana specie.  

Note:
  1. Pastelli: o “pastilli”, sono masse solide ma morbide, che si ottengono o essiccando i succhi, come si è visto prima, oppure mescolando materie essiccate e ridotte in polvere, ridotte in pasta con adeguato liquido (Miele, Vino, ecc). Sono gli antenati della “masse pillolari” (motivo per il quale esse sono state chiamate anche “pastiglie”, pop. “pasticche”. 
  2. La Biacca, essendo carbonato di Piombo è insolubile; quindi di questa cenere se ne utilizza la parte insolubile, o comunque quella parte che precipita dal lavaggio. 
  3. Rame di Cipro: isola del Rame per antonomasia. “Cuprum” in latino vuol, dire Rame; è l’isola dell’Egeo e consacrata a Venere, perciò soprannominata anche “Cypria”. 
  4. Non a caso il termine “cipria”, come trucco per il viso abbia questo nome! Il trucco per essere più belle, quindi più gradite alla Dea della Bellezza e dell’ Amore, Venere, appunto!
  5. Olio Omphacino: ottenuto da Olive molto acerbe.

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