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martedì 12 gennaio 2016

Rigosecco: un ricordo indelebile

partigiani-rigosecco
Con una manifestazione celebrativa il Comune di Montalcino ricorderà il 15 gennaio lo scontro di Rigosecco avvenuto 72 anni fa tra i partigiani della “Spartaco Lavagnini” e la milizia fascista.
Alla manifestazione, che si terrà  proprio a Rigosecco, oltre alle autorità, tra le quali i rappresentanti dei Comuni di Montalcino (nella
persona dell’Assessore Alessio Pantosti), Certaldo, Siena, Buonconvento e Murlo, ognuno con il rispettivo gonfalone, parteciperà una rappresentanza di studenti delle scuole di Montalcino, Certaldo e Buonconvento e Murlo. In particolare si intende ricordare le figure di due partigiani, Luciano Panti di Siena e Luigi Marsili di Certaldo, che nello scontro di Rigosecco persero la vita.

Ma cosa successe quella lontana mattina del 15 gennaio 1944? Torniamo qualche giorno indietro, al 13 gennaio, quando una squadra di dieci partigiani della “Spartaco Lavagnini”, al comando di Angelo Ceccherini, detto il “Ribelle”, abbandona i seccatoi del Monte Cuoio (Monticano) allo scopo di trasferirsi nei boschi del Bigatto, in cui stabilire una base temporanea. Dopo aver camminato a lungo, i partigiani decidono di fare sosta nei pressi di Petriolo e accettano l’ospitalità offerta loro da una famiglia contadina. La marcia riprende la mattina seguente all’alba ed il “Ribelle” guida i suoi uomini verso la Befa, ignaro del fatto che i loro movimenti sono già stati segnalati da alcune spie fasciste si Siena. Luigi Zolese, capo della guardia nazionale repubblichina, e il prefetto Giorgio Alberto Chiurco si mettono sulle loro tracce e ordinano un rastrellamento nella zona del fiume Merse, bloccano le strade in cui avrebbero dovuto transitare i partigiani, ma di questi neppure l’ombra.

Il “Ribelle” e la sua squadra arrivano a sera, dopo aver aggirato l’accerchiamento fascista, nella zona della Befa, ma qui una spia, Lorenzo Nuti, informa le autorità dei loro movimenti, cosicché un reparto repubblichino si mette di nuovo sulle loro tracce. La mattina del 15 gennaio, una mattina fredda e umida, come tante altre in questa stagione, viene tesa un’imboscata alla squadra partigiana da parte di circa 60 militi. I partigiani all’alba lasciano la capanna dove hanno trascorso la notte e riprendono la marcia ma, arrivati a Rigosecco, il “Ribelle”, in testa al gruppo, si accorge dell’agguato solo quando un colpo di vento dirada momentaneamente la fitta nebbia che copra la zona. In questa atmosfera rarefatta si sente la voce concitata del milite Alessandro Rinaldi che incita i camerati a far fuoco sul gruppo partigiano: partono raffiche di mitragliatrice e vengono lanciate bombe a mano da parte dei repubblichini. Luigi Marsili è il primo ad essere colpito mortalmente. Luciano Panti viene ferito gravemente. Pronta la reazione del “Ribelle” che riesce a trascinare il giovane studente dell’Istituto Tecnico Senese in una siepe e nel contempo lancia alcune bombe a mano contro i camion dei fascisti, ma la sorte vuole che si vadano a schiantare nei rami degli alberi circostanti, senza arrecare alcun danno al nemico.

La sparatoria si protrae per circa mezz’ora, giusto il tempo per permettere a cinque partigiani di sfuggire alla cattura. Finché, terminate le munizioni, il “Ribelle” chiede la resa e viene fatto prigioniero insieme a Pietro Signorini e Luigi Felicetti , tutti feriti più o meno gravemente. Luciano Panti sopravviverà fino alle 14.30, gettato sul cassone del camion dove i repubblichini hanno caricato il corpo di Luigi Marsili. Sullo stesso mezzo fanno salire il “Ribelle” e gli altri due partigiani feriti, dopo che il comandante della Gnr si è opposto alla loro esecuzione sul posto. I fascisti vanno a rifocillarsi mentre il sacerdote Don Dante Butini presta ai feriti le prime cure. Ma al di là del fatto d’armi in sé, significativo è che si tratta del primo scontro armato in provincia di Siena tra formazioni partigiane e repubblichini e che i primi a cadere furono due giovani, uno comunista e l’altro cattolico, entrambi accomunati dalla volontà decisa di lottare contro la dittatura fascista e le sue nefande conseguenze a livello sia individuale che sociale e nazionale.                                            

(di Roberto   Cappelli)

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