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giovedì 9 aprile 2015

Conversione BIO: Dai marchi storici alle piccole realtà

Il vino «bio»? Non è più di moda. Ma attenzione: ciò non vuol dire affatto che non lo vuole più nessuno. Anzi, è esattamente il contrario.
VAL D'ORCIA & DINTORNI: L’interesse per le pratiche sostenibili sta diventando sempre più una necessità e sempre meno un fenomeno passeggero. «Stiamo assistendo a una crescita rapida e strepitosa, che attraversa tutta la Penisola e ha spostato sempre di più l’attenzione dalla cantina alla vigna, vera protagonista della rivoluzione verde»
dicono Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, curatori della guida Slow Wine.

Dai marchi storici ai grandi gruppi, dalle piccole realtà alle griffe più famose, sono tante le realtà italiane che si sono «convertite» al biologico. Ad analizzare le più importanti «case history» è un’indagine realizzata da Vinitaly. Si va dai marchi storici come Marchesi de’ Frescobaldi, con 700 anni di storia alle spalle, che sta adeguando la sua produzione al vino biologico, a partire da Castelgiocondo, la tenuta del Brunello di Montalcino, a grandi realtà del vino italiano come Tenute Lunelli del Gruppo Lunelli (Ferrari), che ha intrapreso la totale conversione al biologico, a partire dalla Toscana: Tenuta Podernuovo è stata la prima realtà del Gruppo, nel 2012, a ottenere la certificazione biologica, seguita dalla Tenuta umbra di Castelbuono, mentre i vigneti trentini sono iscritti al registro della certificazione biologica dal febbraio 2014.

Restando in Trentino, La-Vis e Cavit rappresentano la produzione bio dei grandi colossi della cooperazione enoica. In Alto Adige accanto ad esempi conosciuti come Tenute Loacker, a produrre vini bio è anche la celebre Cantina Termeno. In Franciacorta c’è Barone Pizzini, mentre in Piemonte nel terroir del Gavi La Raia ha sposato da tempo la filosofia bio e ora la trasferirà anche tra le vigne del Barolo grazie all’acquisizione di Cascina Cucco a Serralunga d’Alba. Sempre in Langa, il 2015 è una data importante per la famiglia Ceretto: «Sarà l’anno della certificazione biodinamica su tutti i 120 ettari di vigneti di nostra proprietà» annuncia Roberta Ceretto. E a Barolo c’è chi, come Chiara Boschis della cantina Pira, sogna di realizzare un «Cannubi Bio», ovvero un biodistretto nel cru più prezioso del nobile vino.

Anche a Montalcino, tra i vigneti del Brunello, ha investito sul biologico la griffe Allegrini con la cantina San Polo, mentre Col D’Orcia ha iniziato dal 2010 la sua conversione al biologico. Ma in Toscana ci sono molti esempi, da Tua Rita in Maremma a importanti realtà del Nobile di Montepulciano come Salcheto e la storica Avignonesi, riconvertita a biodinamico. Nel Chianti Classico vi sono case history come Badia a Coltibuono, Fontodi e Fèlsina.

In Veneto, Speri in Valpolicella applica i dettami dell’agricoltura sostenibile da anni e, a partire dalla vendemmia 2015, dopo la fase di conversione, otterrà la certificazione biologica, così come antesignana del biologico e del biodinamico è la Fasoli Gino. In Umbria agricoltura biologica è oggi la parola d’ordine di un marchio storico come Lungarotti, mentre in Campania da oltre 15 anni Feudi di San Gregorio ha avviato un iter che ha portato la cantina ad avere quasi 50 ettari a vigneto bio. La Sicilia biologica va da piccole ma conosciute realtà come Occhipinti e Graci sull’Etna, passando per Centopassi di Libera Terra fino ad aziende più grandi come Firriato o Cos, che segue i principi della viticoltura biodinamica. 

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