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lunedì 1 ottobre 2012

Intorno a un aggettivo popolare. Lo strano caso di «scrivo»

di Raffaele Giannetti          
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°7)
Dalle nostre parti non è, o meglio, non era difficile sentire, nel parlare comune, quello più arcaico dei vecchi e dei contadini, l’aggettivo scrivo. Attenzione, non è un errore: non si tratta del verbo, ma proprio dell’aggettivo che significa ‘puro e semplice’, ‘senza
aggiunte’. Il pane scrivo scrivo, nel lessico montalcinese, indica il ‘pane senza companatico’.
Nel Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia si cita il Vocabolario dell’uso toscano compilato da Pietro Fanfani: «È merda scriva scriva».
Davvero curioso che tale esempio compaia nell’edizione in nostro possesso come «acqua scriva scriva». Non pensiamo, comunque, a una svista o a una burla del recensore, ma soltanto a una diversa e più vecchia edizione del vocabolario toscano; un’edizione, a cui si rifà il Grande dizionario, non ancora purgata (leggi censurata), cioè quella del 1892.
L’aggettivo, come si intuisce, viene usato per lo più ripetuto: scrio scrio o, come si dice noi, scrivo scrivo; o, secondo l’esempio, scriva scriva. Il solito dizionario precisa che la «purezza» descritta dall’aggettivo è da considerarsi piuttosto come mancanza e povertà che come qualità, dunque come caratteristica negativa. L’esempio riportato, del resto, ne è chiarissima testimonianza. Scrivo si dice, insomma, «di quelle cose la cui purezza sia da deplorarsi, anzi che da magnificarsi». Mai del vino, dunque.
Ma da dove deriva il nostro strano aggettivo?
«Forse viene da Scrivere, – dice Fanfani nel suo vocabolario – ed è una foggia disusata di tal verbo, perché le cose scritte sogliono aver forza ed evidenza maggiore che le dette… A Firenze, e anche a Pistoja, dicesi, tolta la v, anche Scrio scrio».
Ma perché, allora, scrivo e non scritto o simili, cioè una forma di participio?
Il Grande dizionario conclude, a sua volta, con l’ipotesi, che ci appare stravagante, secondo la quale scrio deriverebbe da scri[at]o, cioè screato dal latino screatus, ‘sputato’, di origine onomatopeica. E la ‘v’? Da dove spunterebbe? Perché questa aggiunta?
Si ha l’impressione che certe soluzioni fonetiche siano quelle di un prestigiatore che tira fuori dal cilindro quanto gli serve, ovvero quanto ci ha già messo. È troppo facile inventarsi – su misura – fantasmi di parole.
Ora, il fatto è che la lingua popolare ha le sue particolari predilezioni, ha le sue forme di distorsione: non ama pronunce troppo difficili o troppo esose, e modifica vistosamente ciò che non comprende o non riesce a pronunciare con facilità. Una di queste predilezioni è, appunto, la metatesi, per la quale la palude diventa padule, sudicio diventa sucido, un bisnonno può trasformarsi in uno sbinnonno, una capra rischia di trasformarsi in una crapa. Il nostro scrivo, insomma, ha tutta l’aria di essere, anche per ciò che concerne il significato, una trasfigurazione di scevro, che significa ‘privo’.
Scevro – da sceverare – sarebbe connesso con il latino separare.
Scabro – che significa anche ‘privo’, come scevro – viene invece connesso con il latino scabere ‘grattare’.
Nessuna parentela unisce, a stare al dizionario etimologico, due termini come scevro e scabro. Peccato, perché c’era da scommettere sulla loro parentela.
Tuttavia, riflettendo sul significato di scabro – ‘ruvido’ come fosse ‘grattato’, e ‘privo di ornamenti’ –, si può intuire qual è il legame fra scabro e scevro, cioè fra le azioni di grattare e sceverare: è quel cercare spulciando di chi separa con l’indice (o indice e pollice) seme da seme o toglie via i sassolini dalle lenticchie. Non è impossibile che i nostri aggettivi e la loro metatesi, che è scrivo, vengano da questo spulciare, da questo raspare che, in fondo, assomiglia non poco all’azione dello scrivere!

Riferimenti bibliografici

  • Alceste Angelini, Saggio di lessico montalcinese, Montalcino, Quartiere Travaglio; Il Leccio, 2000, alla voce “scrivo (scrìvio)”.
  • Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. XVIII, Torino, UTET, 1995, alla voce «Scrìo (scrivo)».
  • Manlio Cortelazzo & Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. 5, S-Z, Bologna, Zanichelli, 1988, alla voce «scévro».
  • Pietro Fanfani, Vocabolario dell’uso toscano, 2 voll. Firenze, Le lettere, 1976, alla voce “scrivo”.

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