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martedì 28 maggio 2013

L'ossessione per il centro

LA REPUBBLICA - 21 maggio 2013 - pagina 1 - sezione: FIRENZE

VAL D'ORCIA & DINTORNI: CARO direttore, a Pippo Russo che si chiedeva se la Toscana non stia rischiando di 'laccare' il suo paesaggio hanno risposto con argomenti definitivi prima Anna Marson (che ha spiegato che il Piano paesaggistico vuole governare il cambiamento, non imporre l'ibernazione), poi Salvatore Settis (il quale ha chiarito come la tutela della Toscana sia una battaglia di civiltà e legalità per il futuro, non la difesa del passato).

Da parte mia vorrei aggiungere che il dibattito culturale non dovrebbe perdere l'aggancio con la realtà. E la realtà non è quella di una regione-giardino tanto intatta da temere la musealizzazione, ma quella di una battaglia quotidiana in cui interessi privati si contrappongono al bene comune.
SOLO tra il 1999 e il 2003 la Toscana ha perso circa 70mila ettari di superficie coltivata. E la cementificazione di Bellosguardo a Firenze, la terrificante Scuola dei Maresciallia Castello e la devastazione della Piana, la lottizzazione di Monticchiello, l'eolico sull'Appennino, la minaccia dell'Autostrada Tirrenica sono o non sono Toscana? Di queste ore è la denuncia, da parte della Rete dei Comitati, che un capannone rurale nel cuore della Val d'Orcia è stato trasformato in piscina coperta, e affiancato da un caseggiato di miniappartamenti. Insomma, tutto si rischia tranne che la lacca.
Egualmente astratto mi pare l'appello dell'Ordine degli architetti per la realizzazione della Loggia di Isozaki agli Uffizi (un progetto che è eufemistico definire deludente). Per rimanere a quello stesso luogo, non sarebbe stato magari più urgente difendere il Cinema Capitol costruito da Nello Baroni dalla trasformazione in un inguardabile 'centro commerciale'? Ma il punto veroè un altro. Io non vedo francamente alcuna urgenza di «rilanciare il centro di Firenze» (se lo 'lanciamo' un altro po' ci ritroviamo come a Venezia). Firenze è una città riversa da secoli sul microcosmo racchiuso dai viali. Anzi, sui pochi isolati che stanno tra il Battistero e l'Arno. Una barriera invisibile separa la città del passato (il centro) dalle possibili incubatrici di futuro, l'altra città, materialmente e culturalmente abbandonata a se stessa.
Coerentemente, il discorso pubblico ruota ossessivamente sul centro storico e sul paesaggio toscano, mentre rimuove sistematicamente ciò che sta nel mezzo. Siamo come una famiglia (decaduta) che viva in una grande casa con un salotto splendidoe un giardino incantato (entrambi ereditati dagli avi), separati da alcune stanze degradatissime e abbandonate (realizzate da noi), dove vive la maggior parte della famiglia stessa. Ha senso discutere solo della possibilità di spostare o meno qualche ninnolo nel salotto perfetto, o sul rischio di laccare il bellissimo parco? Non sarebbe meglio dedicare le nostre energie politiche, economiche, intellettuali ed artistiche al riscatto urbanistico e sociale delle periferie? Non è questa la vera, drammatica urgenza, a Firenze e in Italia? L'ambizione della nostra generazione si riduce a mettere un irrilevante e discutibile cappello moderno agli Uffizi, o nutriamo la speranza di correggere, redimere, rendere umani gli spaventosi cimiteri verticali dei vivi con i quali noi stessi abbiamo circondato il centro che tanto ci ossessiona? Ma l'ordine del giorno lo fissa il mercato, nuovo sovrano, invariabilmente concentrato sulla messa a reddito di ciò che rende: centri storici e paesaggi.
E che non ha più alcun interesse sulle periferie, una volta che le ha imprigionate nel cemento.
Le trasformazioni della città sono la conseguenza di un progetto di comunità: ma la politica, a Firenze e in Toscana, sembra drammaticamente priva di qualunque progetto che non sia ambizione personale e gestione del potere. E quando la politica si riduce a marketing, la polis si riduce a mercato.

L'autore è docente di Storia dell'arte moderna all'università Federico II di Napoli - TOMASO MONTANARI

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