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mercoledì 30 novembre 2011

Reti: il modello Toscana per uscire dal tunnel

(Di Maurizio Bologni, tratto da www.repubblica.it)
C’è la rete di imprese guidata dall’industria biomedica, che serra i ranghi di fornitori sparsi in un territorio vasto e quindi non riconducibili a relazioni di distretto. C’è la rete di imprese che, sotto l’ala protettiva del leader di settore, mette in sicurezza i piccoli fornitori della cantieristica nautica fiaccati dalla crisi.
Oppure c’è la rete di imprese che serve a garantire i terzisti della grande maison della moda. E ancora, ci sono ditte della filiera dell’edilizia, tutte di pari livello ma ciascuna con diversa specializzazione, che si aggregano in ossequio al vecchio motto per cui l’unione fa la forza. Tutti questi casi offrono la summa delle motivazioni che in Toscana spingono a costituire reti di imprese. E’ la regione, insieme all’Emilia Romagna, che ha il maggior numero di aziende coinvolte in contratti di rete (142), mentre Lucca primeggia in Italia tra le province (59 imprese).
Il fenomeno, iniziato nell’aprile scorso, fa della Toscana un laboratorio e promette di espandersi dopo il protocollo d’intesa siglato nei giorni scorsi da Confindustria Firenze e Legacoop Toscana, le quali pongono la costituzione di reti di imprese al centro del loro nuovo sistema di relazioni e azioni comuni.
I due presidenti, Simone Bettini (Confindustria), e Stefano Bassi (Lega), vogliono cogliere in svariati campi le opportunità di un contratto di rete che, regolato dalle leggi 33 e 99 del 2009 e 122 del 2010, lascia ampia libertà nello stabilire i contenuti della collaborazione e assicura alle imprese aderenti l’agevolazione fiscale della sospensione di imposta (Irpef e Ires con esclusione dell’Irap) applicata agli utili d’esercizio destinati al fondo comune patrimoniale, che viene costituito insieme ad un organo gestore (di solito è la capofila) e all’assemblea, con la eventuale nomina di un manager di rete. E così Bettini e Bassi si impegnano a favorire la costituzione di reti nel manifatturiero — per aggredire i mercati esteri del vetro, della ceramica, della porcellana, delle coltellerie, degli accessori per la tavola, dell’arredo — e poi nell’agrindustria, nella logistica, nelle energie rinnovabili e nelle costruzioni dove le aziende vogliono farsi trovare pronte quando torneranno ad essere bandite gare per le grandi opere infrastrutturali. In quest’ultimo campo — nel quale «le aziende associate hanno una dimensione economica subottimale rispetto alla competizione esterna», si legge nell’intesa — si punta attraverso aggregazioni di aziende a colmare il vuoto lasciato dal dissesto dei due principali gruppi con sede in regione, Btp Spa e il Consorzio di cooperative Etruria, entrambi in concordato preventivo.
Nel settore delle costruzioni Confindustria e Legacoop sono state «bruciate» da Cna Firenze, che va fiera di aver patrocinato poche settimane fa la nascita della prima rete di imprese in Italia nel «sistema casa», che si chiama per l’appunto Re.t.e. (Rete Toscana Edilizia) ed è formata da nove pmi di impiantistica, carpenteria metallica, domotica, risparmio energetico, produzione di infissi e serramenti, trasporto e movimentazioni. Ma oltre ad aggregazioni per fare massa, condividere il knowhow, completare l’offerta al mercato — dalle tre aziende dell’indotto Breda che realizzano un’avveniristica auto elettrica alle sei wedding ladies che vendono all’estero matrimoni tutto compreso sui colli fiorentini — sono nate reti di imprese di filiera nelle quali la capofila, di solito un importante gruppo industriale, si offre come ombrello alle aziende dell’indotto per accompagnarne la crescita tecnologica e di export, per migliorarne la bancabilità.
Un grappolo di quattordici aziende ha dato vita a Ribes (Rete Imprese Biomedicali) raccogliendosi intorno a Esaote, leader nella produzione di apparecchiature diagnostiche con sedi a Genova e Firenze dove occupa 400 dei suoi 750 dipendenti in Italia (1.400 nel mondo), 330 milioni di fatturato, 500 se si pesano i ricavi dei partner in Toscana e in Liguria (cinque in ciascuna delle due regione), in Lombardia, Veneto e Campania. «Il contratto di rete permette di superare il limite geografico del distretto coinvolgendo in un’organizzazione piramidale le aziende della filiera sparse nel territorio nazionale, in futuro magari anche all’estero — ha spiegato l’ad di Esaote Fabrizio Landi — Vogliamo condividere con i nostri partner investimenti, tecnologia, laboratori di ricerca, processi di innovazione, certificazione, costi, persino bollette di telefono e nettezza urbana, fare economie di scala».
Da fine agosto il processo di costituzione delle reti ha ingranato la quarta. Intorno al cantiere Benetti di Livorno del gruppo Azimut (600 milioni di fatturato) si sono associati una ventina di arredatori e tubisti, elettricisti e allestitori, mentre è nata anche «La pasta dei coltivatori toscani», la prima rete in Italia nel settore agroalimentare, 27 aziende capeggiate da Consorzio agrario di Siena, Pastificio Fabianelli e Molino Borgioli, che si propongono di difendere la tracciabilità di spaghetti e penne fatti col grano duro della Valdorcia. Nei giorni scorsi ha fondato una rete la valdarnese Zucchetti Centro Sistemi ed è in dirittura il contratto che legherà le aziende della filiera di Gucci, garantendo trasparenza di relazioni tra capocommesse e subfornitori, oltre che tariffe certe di lavorazione.
Il fenomeno reti di imprese è, insomma, una breccia che si è aperta nel mito offuscato del «piccolo è bello» in una regione dove il tessuto imprenditoriale soffre di «nanismo» (95 aziende su 100 hanno meno di 10 addetti e il 99,6% del totale ne ha meno di 50) e mostra resistenza ad aprire il proprio capitale all’esterno. «Ogni dieci interventi di private equity che prendiamo in considerazione — dice in proposito Massimo Abbagnale, presidente di Sici, la sgr partecipata da Fidi Toscana (Regione) — al massimo tre arrivano alla fase di studio e solo una si concretizza perché spesso gli imprenditori sono indisponibili a rigore, trasparenza e soprattutto a che l’interesse dell’impresa venga prima di quello della famiglia a cui l’azienda è ancorata».

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