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Per non dimenticare Arnaldo da Brescia

(di Marco Bucciarelli, tratto da: www.toscanaccio.eu)
Ai primi di marzo 1155 il pontefice Adriano IV scomunicò Roma, quella Roma da cui lo separava il Tevere, quella Roma che per emanciparsi si era data istituzioni comunali e che della scomunica risentí soprattutto economicamente, in quanto i pellegrini cominciarono ad evitare tutto ciò ch' era a sinistra del Tevere.
Costrettivi dal popolo e dai parroci, i senatori all' inizio della settimana santa chiesero ed ottennero udienza da Adriano, che li fece giurare sui vangeli di espellere da Roma e dallo
stato romano Arnaldo da Brescia e i suoi piú stretti seguaci; in cambio la sera del mercoledí 23 marzo fu tolto l' interdetto.
Erano dunque gli ultimi giorni del marzo 1155 quando Arnaldo, passato il valico di Radicofani, camminava verso nord sulla Via Francigena, con la mole incombente del Monte Amiata alla sua sinistra e il paesaggio aperto ed ondulato della Val d' Orcia di fronte a sé, sequenza infinita di colline verdi digradanti verso l' orizzonte. In quello che è l' angolo piú bello di tutta la Toscana Arnaldo si sentiva al sicuro, perché lo sapeva dominato da ghibellini.
Ma ecco, sulla strada francigena cavalca fra i viandanti un cardinale, uno dei tanti, cavalca lemme lemme, comodo comodo, si tiene tutto imbacuccato nella sua pelliccia, perché il 1155 è cominciato con un inverno terribile, che perdura ancora a fine marzo. Ha una scorta armata intorno a sé, il porporato, si capisce, e cavalcando osserva i pedoni che incontra, o che supera, coi suoi occhietti curiosi affossati nel viso pingue, cosí, tanto per passare il tempo. E una di quelle figure di viandanti gli dà nell' occhio: chi è quello spilungone allampanato, magro come un chiodo? Sembra un pellegrino, ma ha il passo troppo affrettato. Sarà il freddo a mettergli addosso tutto quell' affanno? Se andasse verso Roma lo capirei, pensa il cardinale: non ce l' ha fatta ad arrivare per pasqua, ma si affretta lo stesso, la cattiva coscienza del ritardo gli darebbe il pungolo. Invece questo spilungone va in direzione opposta, come se fuggisse da Roma, come se non avesse nemmeno celebrato la pasqua, altrimenti non sarebbe già arrivato cosí lontano a piedi... Eppure io l'ho già visto da qualche parte, pensa il cardinale: ha una figura fuori dell' ordinario, perfino in mezzo a una folla lo si noterebbe, come uno spaventapasseri in mezzo a un campo di grano... Ma sí, proprio in mezzo a una folla l'ho visto! È proprio lui, è quel predicatore, come si chiama, quell' arruffapopolo, ecco perché fugge. È quell' agitatore, quel sobillatore della plebe, quello che metteva i romani contro la curia: il clero non deve possedere niente, predicava, deve campare d' elemosine, delle decime, sí, proprio cosí diceva, e la gente gli ha dato retta per anni. Senza di lui, i senatori non avrebbero goduto dell' appoggio del popolo; gl' importa assai, al popolo, di ripristinare le istituzioni di Roma antica, la plebe non pensa che a riempirsi la pancia e, per farlo, vorrebbe affamare noi, ministri di Dio. Ecco perché pendevano tutti dalle labbra di questo morto di fame lombardo qui, come si chiama, questo Arnaldo da Brescia, ecco, che predicava sempre contro i beni ecclesiastici, contro il potere temporale del clero! È Dio che ora me lo dà in mano, Dio che mi fa suo strumento per punire questo nemico della religione!
Il cardinale fa arrestare e legare Arnaldo dagli uomini della scorta; ha già il prigioniero con sé quando si ferma a mangiare alle Bríccole, che oggi sono un podere abbandonato, ma nel 1155 erano una magione per i viandanti in mezzo al deserto verde della val d' Orcia. Alle Bríccole il cardinal diacono di San Nicola in Carcere Tulliano rimane a far la siesta ed altri comodi, poi senza fretta riparte. Ma intanto i gestori della stazione di sosta sulla strada francigena han mandato un ragazzo con le gambe buone ad avvertire i signori della zona, che si chiamano Visconti ed han castello munitissimo a Campiglia, alto al di sopra delle Bríccole, sulle pendici del Monte Amiata. È una salita mozzafiato, dalle Bríccole a Campiglia, ma i giovani, in campagna, hanno fiato e gambe, tanto che il conte apprende la notizia prima che il cardinale giú all' osteria finisca di digerire: Hanno arrestato Arnaldo il lombardo!
Il conte di Campiglia aveva conosciuto quello spilungone di predicatore in un' altra occasione, forse l' aveva ospitato, e le parole che avevano infiammato e ridato dignità ai pezzenti di Brescia, di Parigi, di Poitiers, di Zurigo, di Praga e infine di Roma, quelle stesse parole avevano entusiasmato anche il Visconti, fiero ghibellino confinante con immensi patrimonii ecclesiastici. Non poteva che esser musica per i suoi orecchi, sentir predicare contro il possesso ecclesiastico di beni temporali.
Il cardinale si era appena mosso dalle Bríccole insieme alla sua scorta e al prigioniero, quando si vide circondato da un numero ben maggiore d' uomini armati: addio digestione, poveraccio. Tirò un sospiro di sollievo, sentendo che non volevano prendergli altro che il prigioniero. E un sospiro di sollievo avrà tirato Arnaldo, vedendosi portato a Campiglia, ospitato al castello con tutti gli onori.
Ma intanto il Barbarossa è arrivato nella fortezza imperiale di Osenna, ai piedi della quale sorgeva la mansione e la pieve di San Quirico, stazione ben piú importante sulla strada francigena, precedente di poche miglia le Bríccole, per chi vada verso Roma. E a Roma il Barbetta vuole andare, e mica pellegrino, no, lui a Roma vuol farsi incoronare, credendo di dar cosí piú legittimità alla pretesa di dominare il mondo intero. Una mano lava l' altra, ecco: il re tedesco è disposto a riconoscere il primato del vescovo di Roma su tutti gli altri vescovi, e in cambio gli si prospetta d' incoronarlo a Roma come un imperatore vero, come un imperatore antico. Ma Adriano manda a dire a Federico che per essere incoronato deve, fra le altre condizioni da adempire, anche catturare ed estradare Arnaldo...
Altro che Arnaldo! Sua madre, sua sorella avrebbe venduto il rosso Fritz in cambio del titolo d' imperatore: il potere non ha prezzo!
Federico dunque chiese al conte di Campiglia di consegnargli il suo ospite. Il Visconti voleva salvare Arnaldo e per lui osò disobbedire all' imperatore, il quale allora prese in ostaggio un familiare del conte, ottenendo infine la consegna di Arnaldo. Questi fu fatto incatenare da Federico Barbarossa, che lo consegnò quindi ai cardinali, caparra del prezzo della solenne incoronazione. Festeggiandosi la quale poi, in giugno a Roma, fra un fuoco d'artificio e l' altro, Arnaldo fu bruciato sul rogo come eretico. Le sue ceneri vennero disperse nel Tevere, affinché di lui non rimanesse niente e col tempo se ne perdesse anche il ricordo.

Ecco perché tenere vivo il ricordo di Arnaldo (e di tutti gli altri che hanno avuto uguale destino) è la cosa piú sgradita che possiamo fare ai suoi carnefici.
Dimenticare vuol dire cancellare la storia.
Ricordare è il primo passo per non ripetere gli errori.