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Le straordinarie opere robbiane raccolte nei "Musei di Montalcino"

di Antonio Sigillo          
(VAL 'D'ORCIA - terra d'eccellenza)
Montalcino città ricca di storia e di leggende. L’interno del centro storico, il’cuore’ pulsante, conserva ancora il suo ‘rude’, ma al tempo stesso, romantico fascino. Dalle torri della sua imponente rocca si ammirano spettacolari panorami; lo sguardo, nelle giornate limpide, può spaziare oltre i territori della Toscana meridionale, fino a lambire quelli del Lazio ed è collocata sul confine con la provincia di Grosseto. Città
dal territorio ampio e ricco di storia, è nota per la produzione del vino Brunello.
Una passeggiata in quest’antica città ci permetterà di ammirare vicoli e piazzette e, in questi scorci panoramici indimenticabili, meritano una visita, per le bellezze artistiche che conservano, i Musei di Montalcino - Raccolta Archeologica, Medievale, Moderna, uno dei più importanti musei d’arte medievale e moderna della Provincia di Siena. Collocato su tre piani, conta quasi 200 opere d’arte divise in sculture, tavole e tele dipinte, affreschi, paramenti sacri, codici miniati, ceramiche, oreficeria e arredi sacri. La collezione offre un’ampia e organica dimostrazione della produzione artistica senese, dal medioevo al novecento storico. Di particolare rilevanza è il cospicuo nucleo di scultura lignea policroma, reputato uno dei più importanti d’Italia. Da segnalare, come considerevole esempio della produzione della terracotta invetriata legata alla famiglia dei Della Robbia, una piccola sala dove si possono ammirare tre esempi di opere in terracotta invetriata realizzate dalla prolifica bottega dei Della Robbia, fondata da Luca della Robbia (1399/1400-1482) e in seguito passata al nipote Andrea (1435-1525) e da questi ai suoi figli. La bottega era presso l’abitazione dei Della Robbia, in via Guelfa a Firenze, poi chiamata in seguito in loro onore via Della Robbia.

La bianca statua a tutto tondo di San Sebastiano, già nella chiesa e Convento di San Francesco in Montalcino, raffigura il giovane martire con le braccia volte dietro i fianchi e le mani legate a un tronco di colore ver­de-marrone.
Negli ampi pettorali si scorgono i segni dove in origine erano conficcate le frecce di bronzo che completavano la figura. La camicia è calata sull’armonioso torso, con le maniche annodate sotto la vita, i bor­di decorati da un’ampia fascia dorata ‘a freddo’ con un motivo a foglie di agrifoglio. I limpidi lineamenti del volto comunicano un’esaltazione cele­stiale più che la sofferenza del corpo martoriato; ed anche i capelli con lun­ghi riccioli ondulati, che ricadono dol­cemente sulle spalle, presentano trac­ce di doratura ‘a freddo’. Il Brogi, descrivendo l’opera all’in­terno della chiesa di San Francesco a Montalcino, afferma che è posta “so­pra il bussolone”, e la data al XVI seco­lo; annota poi: “è credenza che sia del Sansovino, però la ritengo opera di Lu­ca della Robbia”. Il Marquand la riferi­sce alla bottega di Andrea della Robbia mettendola in relazione con il San Se­bastiano dell’altare del camposanto di Arezzo.
Enzo Carli avalla l’ipotesi del Mar­quand, ma aggiunge che “la qualità as­sai elevata indurrebbe a riconoscervi un intervento, sia pure parziale, di An­drea stesso”.Con il Gentilini si ha la convinta at­tribuzione ad Andrea dell’opera, com­mentata per la sua avvenenza elleni­stica. Del Bravo, poi, ne esalta la bel­lezza armonica del corpo, segno di una commozione verso la contemplazione della bellezza fisica, aspetto, questo, caro ad Andrea. I Musei di Montalcino - Raccolta Archeologica, Medievale, Moderna hanno, dal 1997, la loro sede nell’ex convento degli Agostinia­ni in Montalcino. Nel catalogo dei Musei di Montalcino - Raccolta Archeologica, Medievale, Moderna, lo studioso Alessandro Bagnoli accoglie l’attribuzione ad An­drea della Robbia.
Nell’arte toscana tra la fine del Quat­trocento e l’inizio del Cinquecento, la figura del martire è una delle più ri­correnti per il suo ruolo taumaturgico di protettore dalle pestilenze, che allo­ra infierivano con notevole frequenza e gravità. La sua bellezza giovanile. Esaltata dalla nudità, è apprezzata an­che nelle rigorose prediche savonaro­liane perché l’armonia esemplare del corpo riflette la purezza e la perfezio­ne dell’animo. La presenza del San Se­bastiano nella produzione robbiana ri­sale infatti al periodo di maggiore in­fluenza del frate nel clima della devo­zione fiorentina.
Nelle prime raffigurazioni robbiane del santo, la sua iconografia sembra suggerita dalle figure del Verrocchio e del Pollaiolo. Il San Sebastiano rappre­sentato negli altari realizzati dalla bot­tega di Andrea intorno al 1495 per San Francesco a Sargiano (ora Arezzo, Mu­seo Statale) e per la Cappella del Latte di Maria a Montevarchi (1495/1500), presenta invece una delicata figura di adolescente, col volto ieratico incorni­ciato dai capelli ondulati che cadono sulle spalle, e nel torace i segni del martirio. Le poche varianti nella tipo­logia della figura riguardano esclusi­vamente il panneggio della camicia e la testa leggermente reclinata. Il San Sebastiano di Montalcino presenta, ri­spetto a questi, un aspetto fisico più solido, una muscolatura atletica e il corpo in leggera torsione come nel­l’immagine di questo stesso santo in­serita nella predella della Madonna e Santi in San Pietro a Radicofani. Come suggerisce la Petrucci, proprio questi caratteri espressivi sembrano avvici­narlo alle figure dipinte e disegnate da frà Bartolomeo, e indicare così una datazione dell’opera al primo decennio del secolo, con riferimento dunque alla tarda attività di Andrea.

Sempre dalla chiesa e Convento di San Francesco in Montalcino, oggi ai Musei di Montalcino - Raccolta Archeologica, Medievale, Moderna, proviene la grande pala invetriata raffigurante la Madonna con il Bambino, Santi e Angeli. Ornata di frutti e capitelli in bassorilievo sui quali posa un cornicione, nel fregio vi sono cinque serafini a bassorilievo. L’iscrizione nel basamento dell’altare, reca la  data di esecuzione 1507 è il nome del committente Niccolò di Giovanni Posi, probabilmente eseguita non molto tempo dopo, in concomitanza alla realizzazione del gruppo dell’Annunciazione di cui parleremo più avanti.
L’opera fu fatta realizzare dal ricordato notaio Il Cinese, in perenne ricordo della moglie Battista e dei suoceri Petra e Francesco. Sarà il Brogi (1862) ad indicarla come opera proveniente dalla chiesa di San Francesco in Montalcino.
Anche per questa pala d’altare il Gentilini (1989 e 1992) fa riferimento all’esemplificazione artistica dettata dalla scuola di San Marco, fatta propria da Andrea e in collaborazione con il figlio Marco (frà Mattia). Quest’opera è proposta come schema principale e conservatore: la Madonna col Bambino, il trono, gli angeli in volo, l’incoronazione, i Santi, e le cornici decorate da cherubini. Questo sarà prototipo adottato dalla bottega per la produzione ordinaria e seriale. L’opera è di buon livello, anche se alcune figure risultano un po’ nervose e i volti del Bambino e della Vergine con un modellare nitido e lineare. Un’elegante e innovativa collana di corallo rosso cinge il collo della Vergine e le decorazioni a foglie lanceolate poste nei panneggi dei personaggi fanno ritenere che l’opera sia stata realizzata da Andrea in collaborazione con Marco della Robbia.
Anche il Bagnoli (1997 e 1998), in merito alla ‘spiccata religiosità domenicana’ dei Della Robbia, riferisce che: “il carattere tradizionalista dell’opera, è in linea con gli intenti dell’arte devota interpretata da fra’ Bartolomeo e dalla scuola di San Marco che da lui prende avvio”.

Ancora una volta ci viene in aiuto il Brogi (1862), ricordandoci che in quell’epoca erano collocate nello Stabilimento (Cappella) del Regio Ospedale di Montalcino detto di Santa Maria della Croce poi passato al convento di San Francesco, oltre alle opere già citate, vi erano anche un Angelo annunciante e una Vergine annunciata, consegnate e assemblate in loco nel 1509 da fra’ Mattia, uno dei dodici figli di Andrea della Robbia e uno dei cinque figli che collaborarono, in vari momenti, nella bottega di famiglia: Marco, (fra’ Mattia 1468-1532?) Giovanni, (1469-1529/30) Luca ‘il giovane’ (1475-1548) Francesco, (fra’ Ambrogio (1477-1527/28) Girolamo, (1488-1566).
Le due statue nel 1862 erano collocate in due nicchie presso l’altare maggiore ed erano così descritte: la Vergine annunziata, che tiene un libro in mano, L’Angelo annunziante, che sta colle mani giunte. Figure di tutto rilievo di grandezza poco sotto il vero, modellate in terra cotta invetriata bianca. Secolo XVI. Scuola di Luca della Robbia. Una nota riferisce che la ‘figura dell’Angelo è stata rotta al di sotto delle ginocchia, e quindi accomodata’.
Nel 1881 ancora sono nel luogo, dove le aveva notate il Brogi. Come nel 1889 siano state alienate, come siano finite nella disponibilità di un antiquario senese e come questi li abbia venduti alla collezione André a Parigi, non si hanno notizie e tanto meno si hanno dettagli di questa sconcertante vendita.
Le due terrecotte ritenute “perdute”, sono state individuate dal Bagnoli (1997 e 1998), in quelle oggi esposte nel Musée Jacquemart-André a Parigi. L’identificazione è stata resa possibile grazie alla dettagliata descrizione che il Brogi (1862) ne fa nel suo inventario. Infatti, egli inserisce nella nota “ è stata rotta al di sotto delle ginocchia, e quindi accomodata”. Come dimostra la fotografia, l’Arcangelo Gabriele presenta una frattura appena sopra il ginocchio destro, poi in seguito restaurata.
Le opere come testimoniano alcuni documenti, Guerrini (1991), erano state consegnate e sistemate nel 1509 da Marco (frà Mattia), figlio di Andrea della Robbia, e realizzate in collaborazione con il padre Andrea, come si denota dalla particolare posa plastica dell’Angelo, con il busto leggermente piegato in avanti e la bellissima quanto austera e intimidita posa della Vergine.
La Cornice circolare, ornata di frutti. Bassorilievo in terracotta invetriata, proviene dal Chiesa e Regio Conservatorio di Santa Caterina d’Alessandria in Montalcino, e viene assegnata dal Brogi (1862) alla maniera dei Della Robbia datata al XVI secolo.
In seguito lo studioso fiorentino Giancarlo Gentilini,  attribuisce la cornice a Giovanni della Robbia e la data nella seconda metà del Cinquecento. In merito alla destinazione della stessa, oggi vuota all’interno, in passato è probabile che potesse contenere uno stemma nobiliare o uno specchio, con qualche certezza propendiamo per la seconda ipotesi.
La vasta produzione di oggettistica a uso personale e privato (vasi con coperchi di frutta e fiori, con piccoli animali di varie specie, specchi, cornici, piccole statue da giardino, mattonelle decorative, pavimentazioni), erano molto in voga nel cosiddetto periodo manieristico, anche grazie a Giovanni della Robbia e la sua bottega, l’elaborazione diventò ancora più articolata e ricercata per soddisfare una committenza sempre più sofisticata ed esigente.


Bibliografia:
F. Brogi 1862/65, p. 250; E. Repetti 1885, p. 289; A. Marquand 1922, II, p. 155, n. 260; E. Carli 1972, p. 50, n. 62; Fanti 1974, p. 45; G. Gentilini 1992, pp 262, 264; A. Sigillo 1994, p. 48; C. Del Bravo 1995, p. 64; F. Petrucci, in L’Officina... 1996, p. 100, n. 14; A. Bagnoli 1997, p. 82.  A. Sigillo,  1998, in “I Della Robbia, e l’”arte nuova” della scultura invetriata a cura di G. Gentilini, 1998, A. Bagnoli, 1998, in Montalcino e il suo territorio” pp. 131, 132. R. Guerrini, 1991.