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giovedì 14 luglio 2011

“L’erbina”, ovvero quella grande Famiglia delle Crassulaceae

(di Francesco Matteucci e Marco Biagi)
Nella narrazione del De Bellis l’erbina appare come un toccasana per le emorroidi, se cotta con olio e miscelata con cera vergine di api. Certamente questa base ha dimostrato di essere efficace ed è da sempre molto utilizzata, prova ne è che la cera di api fusa in olio caldo era la pomata gelosamente custodita in piccoli vasetti che mia suocera, nata ottanta anni fa in un podere tra Pienza e San Quirico,
aveva imparato a preparare dai suoi genitori per prevenire e lenire scottature comprese quelle causate dal sole. Essa veniva regolarmente applicata sulla pelle dei miei figli quando stavano al mare con lei, profumando loro così di cera e di olio, più piacevoli sicuramente di tutta quella miriade di creme e spray puzzolenti che se miscelate insieme sotto gli ombrelloni, fanno venire la nausea. Io stesso, che non mi “bruciavo” mai grazie alla mia carnagione olivastra, l’avevo sperimentata sulle scottature - non senza un po’ di scetticismo - una volta che mi ero addormentato al sole e devo ammettere che trovai sollievo e guarigione. Dunque sicuramente poco olio, non portato ad ebollizione però, e cera vergine di api hanno proprietà protettive, emollienti ed antiinfiammatorie; se poi aggiungiamo alcuni dei “Sedum” (pianticelle grasse) della famiglia delle Crassulaceae, sicuramente otterremo un prodotto che guarisce.
La credenza popolare attribuisce all’“erbina”, come del resto l’Autore ricorda essere chiamata anche “miseria”, presagio di sventura; si diceva infatti che più la pianta era maestosa e più nera era la “miseria” (povertà) della famiglia.
Le Crassulaceae vivono su terreni aridi, calcarei, sui muri e sulle rocce, dal deserto fino a sopra ai duemila metri d’altitudine, abbisognando così di pochissima acqua. In questi habitat hanno sviluppato la capacità di accumulare notevoli quantità d'acqua nelle foglie, che appaiono così carnose, grasse. Hanno fusto sia eretto che pendulo, con infiorescenza stellata per lo più gialla sia a forma singola che a cespo.
Sedum sexangulare L. è chiamata volgarmente “erbina”, mentre Sedum acre L. è chiamata “borracina acre o risetto”, ed è proprio l’estratto diluito di quest'ultima ad essere usata anche oggi in Omeopatia per controllare le emorragie emorroidali.
Contengono l’alcaloide sedacina, arbutina, flavonoidi, tannini, acidi organici, polisaccaridi.
Le proprietà curative ascritte ai Sedum sono emollienti, antiinfiammatorie, antidolorifiche e cicatrizzanti, in particolare per la contemporanea azione dei polisaccaridi e dei flavonoid. Si ricordano anche le azioni ipotensive, sedative e soporifere.
Le parti aeree di Sedum acre sono velenose, mentre tutte indistintamente hanno un sapore acre e bruciante, da cui questa prende il nome. Un’usanza un po’ barbara narra che veniva data da bere (in infusione) alle persone agonizzanti quale estrema risorsa (potremmo dire non una dolce, ma una bruciante ed acre morte, insomma… o “campi” o muori subito).
Una pianta veramente interessante ed accuratamente studiata è invece Sedum telephium, sottospecie maximum L. o “Erba della Madonna” e non vorrei che la “famosa erbina” fosse da molti confusa con questa. Il dr. Sergio Balatri di Firenze ha usato per molti anni e con successo le foglioline della pianta, decorticate (prive di pellicina) come impacchi nel processo riparativo dei tessuti (ustioni anche gravi). È stata studiata e testata nei laboratori di ricerca più appropriati e molteplici sono le tesi di laurea e le pubblicazioni scientifiche nate intorno ad essa. Delle sostanze contenute, in particolar modo due sono la principali cause del successo curativo fitoterapico. I flavonoidi con la quercetina ed il campferolo, i polisaccaridi con il ramnosio, l’arabinosio, il galattosio e l’acido galatturonico. In tutti i Sedum importante è anche il periodo della raccolta (fine primavera, inizio estate o comunque durante il ciclo di fioritura) che influisce moltissimo sulla presenza più o meno marcata delle sostanze medicamentose.

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