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martedì 1 febbraio 2011

Rosso da Montalcino

Vi ricordate il film “Un’ottima annata”, con Russell Crowe catapultato per caso dalla vorticosa Londra nella raffinata Provenza, che cambia vita tra emozioni nuove e vigneron antichi? Ecco: c’è quell’atmosfera lì, dentro “Il sangue di Montalcino” (Einaudi), thriller di Giovanni Negri. E non perché racconti di damascene inversioni di rotta, o di gente stufa della vita metropolitana. Ma perché c’è dentro, e si avverte, il ritmo dell’autore, che nella vita ha rallentato sul serio: da ex segretario del Partito radicale, negli anni Ottanta, e parlamentare italiano ed europeo, a una quotidanità fatta di natura, e di vini.

“Una decina d’anni fa sono tornato nelle terre della mia famiglia, e mi sono appassionato al vino”, racconta Negri che a Serradenari, nelle Langhe piemontesi, produce Barolo e Pinot nero: “Ho cominciato a riscoprire una diversa concezione del tempo. Una quotidianità fatta di abiti pratici, contiguità con gli animali, semplicità: ne sono stato conquistato”.
Il “noir enologico”, come la casa editrice lo ha battezzato, è un thriller in piena regola: perché c’è il sangue, il brulichio di personaggi tutti potenzialmente killer, e un detective di quelli destinati a farsi amare: il commissario Cosulich, italiano-istriano, uomo di frontiera, istinto nell’intuire e autocontrollo nell’agire. Astemio, ça va sans dire.
Intorno, i tic, le manie, i modi di parlare dei fanatici del vino: quelli che più che case hanno cantine, che se dici Francia hanno in mente un Paese fatto di Beaune, Côte des Nuits, Pommerol. Un circolo a parte, raccontato dall’occhio irriverente di chi sa di farne parte. Non a caso, c’è una girandola di personaggi, che si aggira per la storia, ispirata ad amici veri: giornalisti, esperti di vino, produttori, winemaker tra i più famosi. Facile immaginarli a ragionare: da dove arriva la prima uva, il primo grappolo, la vite Madre di tutte le viti del mondo? E quale scoperta, o quale peccato originale, lo ha trasformato in elemento mitologico e leit motiv della vita: simbolo, soprattutto, sul quale insistono precetti, libertà, superstizioni e religioni?
Intorno a questa ossessione Negri costruisce il romanzo, occasione per viaggiare lungo le traiettorie accertate d’origine del vino – la Colchide, cioè la moderna Georgia, la Persia, la Mesopotamia, Roma. E divagare: su innesti, possibilità. Scambi di coppia: che in enologia non alludono a pratiche sessuali, ma al fascino di trasferire un vitigno in una terra lontana da quella d’origine.
Lascia un buon sapore, questo vino. E il gusto intrigante di alcuni interrogativi. Per dire: se non ci fossero stati i divieti religiosi, che vini sarebbero quelli prodotti nelle terre dell’Islam? (tratto da ...)

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