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lunedì 30 dicembre 2013

L’uscio dell’anno

di Raffaele Giannetti        
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°12)
Uscio è un termine che mi è parso adatto a questa occasione festiva. Spieghiamoci: per parlare dell’uscio, che è sinonimo popolare e dimesso di porta, ci sono almeno due ragioni, delle quali la prima riguarda la forma per così dire dialettale, l’altra il suo significato.
Credo che oggi siano molti a pensare che tutte quelle che una volta sembravano porte si siano trasformate in usci, data la situazione sociale ed economica (che i
politici amano ipocritamente chiamare crisi, con parola che evoca una fine). C’è di più. Ho proprio la netta sensazione che stare qui a discettare di porte ed usci, o di altre parole, non sia più un’operazione moralmente accettabile: forse non c’è più spazio per queste facezie. Non è bello dar l’idea, come la danno i giornali e i mezzi d’informazione, che niente sia successo, che tutto sia normale. Come dire che è facile diventare complici. Insomma, in questo momento, parlare di etimologie – come di altri mille argomenti – potrebbe servire a chi non vuol parlare delle cose serie. Non dimentichiamoci che in Italia, poco tempo fa, abbiamo visto sulla scena – e questo senza che nessuno abbia fatto notare il senso profondo e drammatico dell’avvenimento – due papi e un presidente (della Repubblica) in luogo di un papa e due presidenti. Ma sorvoliamo sul fatto e ritorniamo al nostro uscio.
Siamo, comunque, in una fase dell’anno (calendarialmente parlando) che è dominata dall’immagine della porta, quella che in latino si diceva ianua e che è connessa con Ianus, Giano, il dio romano che presiedeva alla fine dell’anno vecchio e all’inizio di quello nuovo. Le chiavi sono il simbolo facilmente riconoscibile del dio che ha dato il nome al mese di gennaio, in latino Ianuarius, in inglese January.
Secondo un grande studioso della religione romana antica, Dario Sabbatucci, il fatto appena menzionato toglie di mezzo tutte le immaginazioni che fanno di marzo il primo mese dell’anno antico. Rispondendo preventivamente a quanti si sentiranno in dovere di obiettare, dico solo che il mese di marzo può costituire sicuramente un inizio, anche molto importante, dell’anno, così come succede per il primo capitolo di un libro: forse che la prefazione e l’introduzione non fanno parte del libro? Ma la questione è spiegata più accuratamente in e-Mercurius, blog che gestisco insieme a mio fratello Riccardo (http://emercurius.wordpress.com): cercare un vecchio post intitolato Dicembre, il dodicesimo.
Veniamo ora al significato del nostro uscio, sinonimo di porta. C’è da immaginare che molti di noi (perché anch’io sono cascato nella rete) pensino o abbiano pensato che l’uscio sia connesso con il verbo uscire. Certo è che la coincidenza è suggestiva: è vero che la porta non serve solo ad uscire, ma chissà che cosa è successo in passato (le ipotesi che ci divertiremmo a pensare per spiegare il fatto non si conterebbero). Per fortuna, l’uscio non ha niente a che vedere con l’uscire e l’uscita, perché viene dal latino ostium, ‘porta’. E pian piano da ostium siamo giunti a uscio.
Uscire, dal canto suo, viene dal latino exire. In quel di Siena – Federigo Tozzi ne è illustre testimone – e anche in altri luoghi – ricordo mio nonno – si è continuato a dire escire.
Come vedete anche la lingua è alquanto infida.

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