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giovedì 10 maggio 2012

Pieve di Corsignano: Quale messaggio dai ‘mostri’ scolpiti nel tufo?

di Fabio Pellegrini           
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza)
Nelle chiese romaniche più ricche, ma spesso anche in quelle  più semplici, dal punto  di vista architettonico, si incontrano decori  scolpiti sulla pietra che, nella loro singolarità carica di mistero, esercitano un notevole fascino sull’uomo contemporaneo, stimolandone la curiosità. Nella Pieve di Corsignano la decorazione è presente soprattutto nei due portali e, in quantità minore, nell’interno della chiesa. È noto che nella scultura romanica la decorazione geometrica lascia
il posto a quella vegetale e zoomorfa che si carica drammaticamente di significati allegorici. La grande creatività di questa nuova iconografia doveva certamente nascere in un clima di fervore religioso e di grande dinamismo teologico, in un’epoca in cui credenze popolari, dottrine religiose ed intellettuali, vulgate letterarie, si fondevano in un grande crogiolo culturale. Da questo universo uscivano immagini scolpite con la franchezza rude della forza nascente. In questa epoca la scultura aveva compiti esclusivamente decorativi ed a ciò sembrava subordinare qualsiasi intento di riproduzione naturalistica. Malgrado ciò le figure scolpite mantengono una loro autonoma caratterizzazione che si carica di significati simbolici. Tutte le religioni precedenti al cristianesimo nell’area mediterranea e ben oltre, hanno avuto i loro simboli, strumenti efficaci ed eloquenti per spiegare concetti complessi ed interpretrare aspetti contraddittori della realtà. La religione cristiana, allo stesso modo di quelle che l’hanno preceduta, ha costruito le sue allegorie e le ha spiegate per mano dei suoi illustri ed ignoti tagliapietra, partendo dalle suggestioni e dagli archetipi presenti nella cultura popolare. Nei mostri antropomorfi, nei basilischi che si inseguono, nelle minute teorie vegetali che salgono e scendono lungo i portali, è evidente il segno di un gusto che cerca di tradurre sul piano dell’immagine ciò che fino ad allora era stato oggetto di antichi terrori. Nel portale che si apre sulla facciata della Pieve di Corsignano dall’arenaria su cui è scolpita, escono figure misteriose ed inquietanti. Sull’architrave un “mostro” simile ad un serpente con tratti tipici del pesce si avvicina ad una sirena, mentre al centro una sua sorella a due code afferra le pinne divaricate esibendo l’inguine inciso. Alla sua destra due figure umane sembrano danzare, mentre un altro “mostro” in agguato si fa avanti. Secondo E. Zolla la sirena romanica rappresentava in genere il potere vivifico delle acque irrigue ed era molto simile alla Scilla ed alla Nereide dei sarcofaghi etruschi, richiamando anche alla mente le figure muliebri delle antiche chiese irlandesi che anch’esse “vantavano” la propria fertilità. Molto spesso si e pensato alla sirena come ad un ammonimento contro i peccati della carne, ma dallo stesso studioso ci viene una lettura molto più stimolante: ”Le cosmogonie arcaiche presenti ai costruttori romanici pongono all’inizio del tempo la piena sonorità, narrano che dall’abisso del nulla emersero i ritmi possenti e fonda-mentali: affiorarono i draghi. Grazie alla mediazione del desiderio, alla forza inesorabile che avvince a un grembo di sirena, quei puri ritmi sonori assunsero una veste di carne, crearono figure di danza. I due versanti del nostro architrave denotano dunque rispettivamente, l’invisibile ed il visibile”. La figura del pesce e del serpente sono ricorrenti, prima che nella iconografia cristiana, in quella delle religioni più antiche. Presso i Greci il pesce in generale, il delfino in particolare (Oracolo di Delfi) erano legati al culto di Apollo. Il serpente, invece, nel simbolismo cristiano poteva rappresentare, di volta in Volta, il Cristo cosi come il Demonio. La sua figura non era riconducibile sempre a spiriti malefici. I due serpentelli che sono scolpiti su una colonna, nell’interno della pieve di Corsignano, non hanno certamente un aspetto terrifico ed il loro atteggiamento non appare offensivo. All`interno dello stipite del portale principale sono scolpiti dei fiori. Nella leggenda del Graal i fiori simbolizzano la presenza del calice sacrificale e quindi del cuore di Cristo, mentre la vegetazione scolpita ricorda il vegetare dei sempreverdi incorruttibili del Paradiso terrestre. Lo stesso triangolo con la punta in basso, che si ripete nel decoro dell’arco del portale medesimo, richiama alla mente la simbologia cristiana altomedioevale che in tal modo stilizzava la coppa sacrificale-cuore della divinità. Ma sempre nel decoro del portale non sfugge il “simbolismo” del filo”, dove la presenza dei nodi suggerisce la stabilità dell`essere nella grazia ed il suo contrario. Nella porta di mezzogiorno si trova una fitta decorazione orientaleggiante di notevole effetto plastico. Intorno al rozzo ma suggestivo presepio bizantino (La Madonna non ha S. Giuseppe a fianco) si muovono, lungo gli stipiti, figure di animali mitologici. Il leone ed il serpente ad esempio, simboleggiavano nell’iconografia romanica il Cristo e Satana, cosi come la ruota, in una allegoria di origine celtica, simboleggiava la vita. C’è chi ha fatto notare che la scultura romanica richiama alla mente in certe sue figure la simbologia dionisiaca (il dio che nasce dal serpente, la vite nata dal fallo di Dionisio) ipotizzando, nella pur grande diversità delle religioni, una continuità nella tradizione iconografica. Del resto sappiamo che, specie nelle campagne, il culto dionisiaco sopravvisse oltre l’era pagana, nei riti agrari e nelle credenze misteriche.

(Estratto da Messaggi nel tufo, di Fabio Pellegrini - Editrice grafica l'Etruria)

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